NEBULOSA DEL GRANCHIO: NUOVI DATI

Il telescopio spaziale James Webb sta aiutando gli astronomi ad indagare alcuni dei principali elementi di quest’insolito resto di supernova.

Nebulosa del Granchio i resti della supernova

La Nebulosa del Granchio, situata a 6500 anni luce di distanza nella costellazione del Toro, è il risultato del collasso del nucleo di una supernova che ha causato la morte di una stella massiccia.

L’esplosione fu abbastanza luminosa da essere vista sulla Terra nel 1054 d.C., come riportato da fonti cinesi, giapponesi ed arabe. Ciò che rimane è un guscio di gas e polvere in espansione, oltre ad un vento in uscita alimentato da una pulsar, una stella di neutroni altamente magnetizzata ed in rapida rotazione.

Nonostante decenni di studi, non si è ancora arrivati ad individuare il tipo di stella responsabile della creazione di questa nebulosa e qual è stata la natura del fenomeno che ha portato alla decomposizione.

Un team di scienziati ha utilizzato il telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA per ricavare preziosi indizi dai dati a infrarossi di altissima qualità raccolti dalla NIRCam (Near-Infrared Camera) e dal MIRI (Mid-Infrared Instrument).

Immagine della Nebulosa del Granchio catturata dalla NIRCam e dal MIRI di Webb, con frecce della bussola, barra della scala e chiave colorata come riferimento.

Gli sforzi di ricerca precedenti hanno calcolato l’energia cinetica totale dell’esplosione in base alla quantità ed alla velocità dei materiali espulsi attuali. Gli astronomi hanno dedotto che l’energia fosse relativamente bassa (meno di un decimo di quella di una normale supernova) e che la massa della stella progenitrice fosse compresa tra 8 e 10 masse solari, in bilico sulla sottile linea separatrice fra le stelle che sperimentano una morte violenta e quelle che la evitano.

La composizione atipica della Nebulosa e l’energia molto bassa avevano fatto ipotizzare una supernova a cattura di elettroni, un raro evento originato da una stella con un nucleo meno evoluto fatto di ossigeno, neon e magnesio, piuttosto che del più tipico ferro.

Esistono però delle incongruenze tra questa teoria e le osservazioni del Granchio, in particolare il rapido movimento della pulsar. Negli ultimi anni, gli scienziati hanno migliorato la comprensione delle supernove da collasso del nucleo di ferro ed ora pensano che possano produrre esplosioni a bassa energia, purché la massa stellare sia sufficientemente bassa.

Per conoscere la stella progenitrice, il team scientifico ha sfruttato le capacità spettroscopiche di Webb per riconoscere due aree all’interno dei filamenti del Granchio.

Il MIRI (Mid-Infrared Instrument) è servito per misurare le linee di emissione di nichel e ferro, ottenendo una stima più affidabile del rapporto di abbondanza Ni/Fe che è ancora elevato rispetto al Sole, ma solo modestamente e decisamente inferiore rispetto alle vecchie valutazioni.

Per la prima volta in assoluto, gli astronomi hanno mappato in alta risoluzione l’emissione di polvere calda (in magenta nell’immagine) in questo resto di supernova. Combinando questo rilevamento con i dati dell’Osservatorio spaziale Herschel sui grani di polvere più freddi, i ricercatori hanno un quadro completo della distribuzione dove i filamenti più esterni contengono polvere relativamente più calda, mentre vicino al centro sono più freddi.

I grani modellano una struttura a gabbia, visibile soprattutto verso le parti in basso a sinistra ed in alto a destra. Filamenti di polvere sono anche presenti all’interno del Granchio e talvolta coincidono con regioni di zolfo doppiamente ionizzato (zolfo III), colorate in verde. I filamenti screziati di colore giallo-bianco formano grandi strutture ad anello attorno al centro dei resti di supernova e raffigurano aree in cui la polvere e lo zolfo doppiamente ionizzato si sovrappongono.

La struttura a gabbia della polvere aiuta a limitare alcune tracce, ma non tutte, dell’evanescente emissione di sincrotrone rappresentate in blu, simili a ciuffi di fumo, maggiormente evidenti verso il centro. I sottili nastri blu seguono le linee del campo magnetico create dalla pulsar.

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Immagini: NASA, ESA, CSA, STScI, T. Temim (Princeton University)

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