L’ORIGINE DELLA GRANDE MACCHIA ROSSA DI GIOVE

Macchia rossa nell’atmosfera di Giove

I ricercatori dell’Università dei Paesi Baschi (UPV/EHU), del Politecnico della Catalogna – BarcelonaTech (UPC) e del Barcelona Supercomputing Center (CNS-BSC) hanno pubblicato i risultati delle loro osservazioni sviluppando modelli numerici per spiegare l’età e la natura dello spettacolare fenomeno.

La Grande Macchia Rossa  (GRS) si staglia in modo evidente nell’atmosfera di Giove ed il suo diametro, in questo momento, è pari a quello della Terra.

La struttura è molto famosa grazie al contrasto del colore che ne permette la facile individuazione anche con piccoli telescopi. La GRS è un enorme vortice anticiclonico, il maggiore ed il più longevo di quelli esistenti nei pianeti del sistema solare, con venti che viaggiano a 450 km/h attorno alla sua periferia. L’età è però oggetto di dibattito, così come rimane sconosciuto il meccanismo della sua formazione.

Le speculazioni sull’origine risalgono alle prime osservazioni telescopiche effettuate dall’astronomo italiano Giovanni Domenico Cassini che, intorno al 1665, scoprì un ovale scuro alla stessa latitudine e lo chiamò “Macchia Permanente” (Permanent Spot, PS, nella traduzione inglese).

Dopo il 1713 se ne persero le tracce per 118 anni e solo nel 1831 e negli anni successivi Samuel Heinrich Schwabe vide di nuovo una struttura chiara, di forma approssimativamente ellittica ed alla stessa latitudine del GRS. Il rilevamento può essere considerato il primo dell’attuale GRS, forse allo stadio nascente.

I ricercatori degli istituti catalani autori dello studio
Enrique García-Melendo (UPC) Agustín Sánchez Lavega e Jon Legarreta (UPV/EHU)

Un recente studio, firmato da ricercatori d’istituti catalani Agustín Sánchez-Lavega, Enrique Garcia MelendoJon Legarreta, Arnau MiròManel Soria e Kevin Ahrens-Velásquez, ha dimostrato che è improbabile che la PS corrisponda all’attuale GRS. Le simulazioni numeriche escludono che la GRS si sia formata dalla fusione di vortici o da una supertempesta, ma presumibilmente si è creata da una perturbazione del flusso tra i due getti zonali gioviani opposti a nord e a sud di essa.

Sul pianeta gigante predominano intense correnti di vento che scorrono lungo i paralleli alternandosi nella loro direzione con la latitudine. A nord del GRS, i venti soffiano verso ovest a 180 km/h, mentre a sud vanno ad est a 150 km/h. Questo genera un potente sforzo di taglio nord-sud nella velocità del vento.

Pianeta Giove ripreso da entrambi i lati

Le équipe UPV/EHU e UPC hanno analizzato gli avvistamenti storici (a partire dal XVII secolo) ed hanno eseguito simulazioni su supercomputer spagnoli, come il MareNostrum IV del BSC.

Agustín Sánchez-Lavega, professore di fisica presso l’UPV/EHU, ha guidato l’indagine ed ha spiegato che la PS è probabilmente scomparsa tra la metà del XVIII ed il XIX secolo. Se così fosse, l’attuale macchia supera i 190 anni, La GRS nel 1879 era di 39.000 km, sul suo asse lungo, ma con il tempo si è arrotondata e ridotta fino ai correnti 14.000 km.

Dettaglio Grande Macchia Rossa di Giove

Vari strumenti a bordo della missione Juno, in orbita attorno a Giove, hanno mostrato come il fenomeno sia poco profondo rispetto alla dimensione orizzontale, misurando verticalmente 500 km.

Nella ricerca sono state valutate possibili alternative per la genesi del GRS, tra cui l’emissione di una supertempesta, simile a quelle raramente osservate su Saturno o la fusione di più vortici generati dal wind shear (una variazione improvvisa del vento in intensità e direzione a diverse altitudini e latitudini, ndr). In entrambi i casi si forma un anticiclone, ma con profilo e proprietà dinamiche diverse da quelle del presente GRS.

Futuri approfondimenti mireranno a ricavare il restringimento del GRS nel tempo per scoprire i meccanismi fisici in modo dettagliato. Inoltre, si cercherà di prevedere se il GRS si disintegrerà scomparendo al raggiungimento di un limite di dimensione, come potrebbe essere accaduto alla macchia di Cassini o se si stabilizzerà per durare molti anni.

 

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Immagini: Hubble – NASA – Fernando Gomez per Università dei Paesi Baschi (UPV/EHU)

 

 

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