Gli astronomi sono riusciti a vedere, solo con Hubble, le conseguenze dello scontro che ha spinto parte del mezzo circumgalattico della galassia massiccia più vicina alla nostra, formando una coda di gas che alla fine ricadrà nella Via Lattea.
La Grande Nube di Magellano (LMC) è una delle principali galassie satelliti della Via Lattea, situata ad una distanza di circa 163.000 anni luce dalla Terra, per la maggior parte nella costellazione del Dorado, visibile nell’emisfero australe.
Il suo diametro è di circa 14.000 anni luce, rendendola 20 volte più estesa del diametro apparente della Luna piena. Ospita la Nebulosa Tarantola, una delle regioni di formazione stellare conosciute più attive e resti di supernova come SN 1987A.
La LMC si sta muovendo verso la nostra galassia interagendo con essa con forze mareali e flussi di gas che potrebbero, in futuro, alimentare la Via Lattea.
Il telescopio spaziale NASA/ESA Hubble ha osservato come la Grande Nube di Magellano abbia perso gran parte dell’alone che la circondava. Gli scienziati sono rimasti sorpresi di scoprire che il gas residuo è 10 volte meno abbondante rispetto a quello di galassie simili, ma ancora sufficiente a sostenere il processo all’origine di nuove stelle.
Numerosi astrofisici teorizzano che la LMC non sia in orbita attorno alla Via Lattea, ma sia di passaggio. Il transito più ravvicinato, appena completato, ha provocato la perdita della maggior parte dell’alone di gas.
Hubble ha permesso di misurare le dimensioni della parte gassosa, circa 50.000 anni luce di diametro, della LMC ed i risultati sono stati pubblicati in uno studio su Astrophysical Journal Letters, con Andrew Fox (AURA/STScI Agenzia Spaziale Europea di Baltimora) come ricercatore principale.
LMC ha una massa pari al 10 percento della Via Lattea. Un conglomerato più piccolo non sarebbe sopravvissuto all’incontro con il denso e gigantesco ambiente della nostra galassia, la cui azione è stata paragonata da Fox a quella di un asciugacapelli. L’incrocio ha creato una scia di gas che segue LMC, come la coda di una cometa.
Il team ha analizzato le osservazioni ultraviolette del Mikulski Archive for Space Telescopes presso lo STScI. Solo Hubble consente di captare queste lunghezze d’onda, per la maggior parte bloccate dall’atmosfera terrestre e quindi non rilevabili dalla Terra.
L’alone circumgalattico è stato esaminato servendosi della luce di fondo di 28 quasar, una sorta di “torcia” per analizzare come la sua emissione sia assorbita o dispersa dal gas. I quasar più potenti, probabilmente alimentati da buchi neri supermassicci, forniscono una sorgente intensa e ben definita, rendendo facile ricavare le caratteristiche dei gas.
Gli scienziati hanno impiegato i dati del Cosmic Origins Spectrograph (COS) di Hubble. Lo spettrografo ultravioletto scompone la luce per rivelare indizi sullo stato, la temperatura, la velocità, la quantità, la distanza e la composizione dell’oggetto. Con il COS, si è misurata la velocità del gas attorno alla LMC, permettendo di determinare le dimensioni dell’alone.
La LMC è un laboratorio di astrofisica unico e la sua interazione con la Via Lattea aiuta a capire cosa sia successo nell’Universo primordiale, quando le galassie erano più vicine tra loro, oltre a mostrare quanto siano caotici e complicati i fenomeni galattici.
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Immagine da terra della LMC: ESO Eckhard Slawik – Mappa: Robert Gendler/ESO – COS: NASA
Illustrazione artistica: NASA, ESA, R. Crawford (STScI)
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