Daniele Bigi, visual effect supervisor alla mitica Industrial Light & Magic, racconta le lavorazioni per l’ultimo film di Spielberg nelle sale italiane dal 28 marzo.
Steven Spielberg è sempre stato abile ad incontrare i gusti del vasto pubblico, a partire da Lo Squalo del 1975 fino ai due titoli che gli sono valsi l’Oscar per la Miglior Regia: Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan. In Ready Player One, il regista unisce animazione, fantascienza e valutazioni sull’uso della tecnologia destinate a far riflettere, esattamente come aveva fatto con Minority Report dove affrontava il problema della violazione della privacy o l’umanizzazione dei robot in A.I. Intelligenza Artificiale, ispirato ad un’idea dell’amico Stanley Kubrick.
Spielberg rievoca con nostalgia i rampanti anni ’80 in cui i protagonisti della storia, nerd nell’animo, hanno vissuto in modo periferico. Il 2045 invece è rappresentato negativamente con gli abitanti alienati controllabili come burattini. A questo proposito vale la pena ricordare la fotografia scattata al Mobile World Congress 2016 dove la platea ignora l’entrata di Zuckerberg perché immersa nella realtà virtuale.
Nell’era della tecnocrazia, sopravvivono i sentimenti e la capacità di essere inconsapevolmente degli eroi, come Wade Watts (Tye Sheridan) che sfugge alla realtà indossando il visore VR per trasformarsi in un avatar dal nome profetico: Parzival.
L’azione si svolge prevalentemente in un universo virtuale interamente creato con la computer grafica. Daniele Bigi, visual effect supervisor alla Industrial Light & Magic, ci racconta la complessità di Ready Player One.
Cosa ha comportato la realtà virtuale secondo Spielberg?
“Il film è basato sul best-seller di Ernest Cline uscito nel 2011. Il libro è ambientato nel 2044 ed ha definito lo stile generale di OASIS, un avanzato sistema VR dove le persone si rifugiano scappando da un mondo sovrappopolato e totalmente inquinato.
Adam Stockhausen, production designer e vincitore dell’Oscar con Grand Budapest Hotel, insieme ad una squadra di concept artist della Warner Bros e di ILM hanno lavorato duramente per tradurre le descrizioni del romanzo in disegni spettacolari. OASIS è costellato di riferimenti alla cultura popolare degli anni 80 e 90 che tanto piacciono all’eccentrico programmatore James Halliday, interpretato da Mark Rylance. Questo sconfinato universo, in cui si scia sulle piramidi o si gioca in un casinò grande quanto un pianeta, ha richiesto una lunga preparazione.
Al principio si sono acquisiti i diritti di personaggi protetti da copyright. Nel film ci sono decine di richiami, dai fumetti ai brani musicali: dalla DeLorean di Ritorno al futuro alla moto rossa di Akira guidata dall’avatar Art3mis della ribelle Samantha Cook, l’attrice Olivia Cooke, dai lottatori di Mortal Kombat alle gemelle di Shining e King Kong. Non manca davvero nulla.”
Hai ritrovato anche tu qualche vecchia passione?
“Il primo giorno sul progetto, fui colpito quando Daito, uno degli amici che si affianca a Parzival nella lotta all’IOI, si trasforma in Gundam per combattere contro MechaGodzilla!!
Sono un appassionato di cartoni animati giapponesi, come molti italiani della mia generazione ed ho subito pensato che il film sarebbe stato un successo capace di risvegliare sensazioni legate al fascino dei ricordi. ”
Quant’è durata la lavorazione per Ready Player One?
“La maggior parte degli shot è stata realizzata in 8/9 mesi, ma la post-produzione complessiva è durata circa due anni.”
Come sono stati suddivisi gli incarichi fra le diverse società?
“ILM San Francisco ha preparato il Look development dei protagonisti ed il team americano, insieme al VFX supervisor Grady Cofer, ha curato anche la fase di Virtual Production con il regista. Le oltre 1000 scene di OASIS sono state divise tra ILM Londra e Singapore con Roger Guyett come Production Visual Effect Supervisor che poi presentava il materiale a Spielberg.
Digital Domain ha trattato le scene del mondo reale con CGI, mentre Territory ha elaborato alcune componenti grafiche come quando si vede Parzival, nella DeLorean, collezionare gettoni d’oro con un’interfaccia olografica che compare chiarendo l’azione tipica di un videogioco.”
A cosa ti sei dedicato in Ready Player One?
“Per la prima volta ho ricoperto il ruolo di Visual Effect Supervisor visionando quasi tutte le fasi, dalla creazione degli asset al rendering finale dei differenti elementi. Non mi sono occupato dell’animazione, direttamente seguita da Roger insieme a David Shirk, vincitore dell’Oscar per Gravity. Io e Grady ci siamo focalizzati sulle sequenze trattate a Londra, tra cui le due sfide iniziali per la conquista della “chiave di Bronzo” e poi la battaglia conclusiva dei Gunter contro Sorrento che è la mia sequenze preferita.”
Quali sono state le ricostruzioni maggiormente impegnative?
“Ogni personaggio, oggetto e location deve essere ricreato in 3D. A noi spetta il compito di suggerire ed apportare migliorie perché tutto sia credibile e conforme alle aspettative del regista.
Spesso i disegni preparatori non raffigurano i dettagli limitandosi a dare indicazioni di massima soprattutto quando si tratta di ambientazioni molto grandi come il Castello di Anorak o Planet Doom. Uno dei lavori più articolati e tecnici è quello di ricevere modelli 3D e texture da studi cinematografici e case di videogiochi ed inserire i dati nella nostra pipeline. La difficoltà consiste nel rendere omogeneo il look anche se gaming e film hanno caratteristiche fra loro diverse.”
Ho letto che è la prima volta che Spielberg ha avuto a che fare con una digital tent per il mocap degli avatar. Quale tipo di approccio ha avuto per calarsi nel set virtuale?
“Gli attori principali indossavano una tuta di motion capture con un casco equipaggiato con 3 camere ruotate verso il viso. Gli apparecchi registravano a 48fps e questo ha permesso di traccare con assoluta precisione i marker posizionati sul volto per catturarne e riprodurne le espressioni.
Spielberg non portava un VR head set per non complicare l’interazione con gli attori, ma dei monitor e degli iPad montati su vari supporti dove si pre-visionavano, in tempo reale, alcuni elementi del set oltre all’acquisizione dei movimenti camera per la post-produzione. La virtual production unit è stata impiegata soprattutto per i momenti di recitazione, mentre per le scene di azione, ossia la maggior parte delle sequenze in OASIS, si è ricorsi al classico metodo della pre-visualizzazione 3D.”
Quando ci siamo visti a Londra eri in MPC. Come sei approdato nell’impero di Lucas?
“All’epoca ero CG supervisor ne “I Guardiani della Galassia” della Marvel in MPC. Verso la fine del 2014 ebbi l’invito ad un colloquio con Ben Morris e Mike Mulholland, rispettivamente Creative Director e VFX Supervisor nella sede di Londra di ILM. Conoscevo Ben di fama perché nel 2008 ha vinto un Oscar per Il compasso d’oro quando era in Framestore, mentre con Mike avevo collaborato per Le cronache di Narnia nel 2008.
Industrial Light & Magic è uno degli studi più prestigiosi nel settore fondato da George Lucas per sviluppare nuove tecniche da impiegare nella prima serie di Guerre Stellari, ma anche software che sono diventati uno standard nella computer grafica applicata fra cui RenderMan ed il formato open exr. In ILM lavorano veterani che hanno fatto e continuano a contribuire alla storia degli effetti come Dennis Muren, vincitore di 6 Oscar e due Special Achievement per E.T., Indiana Jones, Salto nel Buio, Abyss, Terminator 2, Jurassic Park.
Per me è stato molto gratificante ricevere una loro proposta e non appena arrivato, ho partecipato ad “Antman” della Marvel ed a “Doctor Strange”come CG Supervisor.”
Cosa hai provato a lavorare per Spielberg?
“E’ stato molto interessante. Tutte le settimane avevamo due videoconferenze, di circa una o due ore, in cui Roger mostrava quanto fatto da ILM. C’era un incredibile senso di curiosità nell’attendere il parere del regista su ogni aspetto del film, dalla durata delle scene all’animazione, dalla resa dei materiali alle luci fino al compositing finale.
Mi sono sentito un privilegiato nel partecipare a questi incontri e capire cosa fosse subito apprezzato ed approvato da Spielberg e cosa doveva essere migliorato.”
Anche tu pensi che il futuro riservi illusioni e rimpianti? Nella tua professionalità ci sono sviluppi che ti sembrano peggiorare la situazione o le trasformazioni sono in positivo?
“L’industria della computer grafica nel cinema è giovane, essendo nata 25-30 anni fa e, a mio avviso, è ancora immatura rispetto ad altri ambiti.
La potenza dei calcolatori è aumentata esponenzialmente offrendo avanzate tecniche in grado di rivoluzionare film e videogiochi. Attualmente si parla di usare il Ray Tracing in real time, cosa impensabile soltanto 10 anni fa.
L’attività di ricerca è in fase espansiva e non vedo segni di rallentamento grazie anche alle applicazioni VR e AR (realtà aumentata), ma ogni tanto bisogna ricordarsi di spegnere lo scenario virtuale e ritornare alla realtà anche solo per trascorrere una giornata al sole in Italia.”
In 140 minuti, Spielberg raccoglie così tante citazioni da far impazzire cinefili ed appassionati di fumetti e videogiochi, ma strizza l’occhio pure a Dan Brown con riferimenti che fanno impallidire Assassin’s Creed.
Nel giorno di Pasqua anche noi abbiamo ideato una specie di Easter Egg, il termine indica un contenuto innocuo inserito in un software o in un videogame introdotto nel 1979 da Warren Robinett che rivelò, in una stanza segreta, di essere uno degli autori di Adventure nonostante il divieto della casa produttrice Atari. A voi la sfida: chi abbiamo nascosto in Anorak?
RIPRODUZIONE RISERVATA – ©2018 SHOWTECHIES Simona Braga
Foto di: WARNER BROS
Ernest Cline?
George Lucas?
Dart Fener?
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Merlino
Orson Wells
Harrison Ford