Fin dalla fondazione nel 1941, in Svezia, Hasselblad è sinonimo di fotocamere ed obiettivi con caratteristiche di alta gamma e sempre all’avanguardia. L’azienda si fa anche promotrice di uno dei riconoscimenti fotografici più famosi al mondo: l’Hasselblad Masters.
L’edizione dello scorso anno ha collezionato il record di 10.000 partecipanti che hanno proposto scatti di qualità molto elevata. Fra i dieci vincitori, premiati durante Photokina 2016, troviamo Giorgio Cravero che abbiamo incontrato nel suo Studio Blu 2.0 di Torino.
Le immagini still life di Cravero hanno la capacità di sorprendere e ricordano una composizione musicale con pause e contrappunti inaspettati. Un personale lavoro di ricerca stilisticamente impeccabile, mai banale, con volumi costruiti nella profondità del controluce.
Che foto ami fare?
“Ho cominciato con l’architettura, ma ho virato sullo still life. Per alcuni clienti mi capita di fare people, ma negli anni mi sono specializzato nelle fotografie di drink. Per carattere sono facile alla noia e quasi ogni foto con i liquidi ha una componente variabile con qualche difficoltà da risolvere che allontana la monotonia.”
Quali sono i tuoi maestri?
“All’inizio Richard Avedon ed Irving Penn. Ultimamente mi piacciono l’olandese Erwin Olaf e Gregory Crewdson, senza dimenticare Martin Wonnacott che è un mostro sacro parlando di fotografia e video di drink.
In generale, al di là della composizione, per me la luce è la vera discriminante. Crewdson è un autore americano al di fuori delle logiche commerciali che mi affascina per la cura fino allo spillo dei dettagli sui set. Magari ti rendi conto che la macchina è lontana decine di metri e lui si preoccupa della sveglia su un comodino che s’intravede da una finestra con le tende. Le messe in scena sono predisposte con l’aiuto di uno staff di operatori e scenografi per una rappresentazione inappuntabile. E’ la mia filosofia ideale. In un’attività imprenditoriale si devono far funzionare i numeri, ma la nostra è un’occupazione in cui l’accuratezza fa la differenza, anche se non è sempre apprezzata.”
Come vedi la situazione in Italia nel tuo settore?
“Il mercato italiano è decisamente complicato in parte per una mancanza di cultura e di volontà di portare il cliente nella direzione giusta. Negli anni ’80, un’agenzia divenne famosa perché rifiutava campagne poco creative. Dopo un po’ di tempo ebbero incarichi interessanti ed il livello s’innalzò per tutti. Oggi non c’è il coraggio di agire nella stessa maniera.
Gli italiani sono esterofili ed un fotografo straniero può permettersi di chiedere certe cifre solo perché è nato all’estero, ma ci sono molti fotografi italiani che sognano di emigrare dove c’è maggiore preparazione e serietà.”
Non dirmi che anche tu pensi di espatriare?
“Assolutamente sì, ma a 41 anni non ho voglia di ricominciare con spirito bohémien. Mi sento frustrato a vivere alcune realtà di questo paese dove gli amici degli amici valgono più di un portfolio di qualità. Personalmente sono convinto che anche le foto di uno studente dovrebbero essere guardate e valutate in modo obiettivo. C’è bisogno di professionisti che offrano il meglio di se stessi ai clienti.”
Tu sei uno dei pochi in Italia che può fregiarsi del titolo di Hasselblad Master. E’ venuta prima la fotografia che ha vinto o la volontà di partecipare al concorso?
“Hasselblad non richiede l’esclusiva ed ho inviato una foto che avevo pubblicato nel 2016 ottenendo un discreto successo. Lo scatto non era commerciale, ma rientra nei progetti di ricerca a cui mi dedico per tentare un percorso autoriale. La serie si compone di 6 immagini di frutta e verdura ed ho scelto di mandare quella della banana perché mi sembrava più iconica.
L’idea mi è venuta partendo dal rapporto fra cibo, natura ed uomo in quanto distruttore di un equilibrio che funzionava benissimo prima che arrivassimo noi. Il contadino dal quale vado si lamenta che la gente vuole comprare la frutta bella che non è sinonimo di bontà, ma di chimica. Dalle nostre conversazioni è nato il proposito di dare immediatezza al messaggio intingendo frutta e verdura nel loro colore lasciando una porzione totalmente desaturata. Il frammento attaccato alla terra rimane colorato a simbolizzare il collegamento originale su cui subentra l’intervento artificiale che snatura l’alimento.”
Qual è il collegamento con le foto dei trucchi?
“In seguito alla vittoria, Hasselblad ti chiede di realizzare un progetto da inserire in un volume centrato sull’evento. Eravamo spaventati di dover produrre 12-15 immagini con lo stesso tema, poi abbiamo ingranato e saremmo potuti andare avanti sei mesi.
Cibo e cosmetici possono essere accostati nel mito della bellezza o per un discorso salutista. Ho pensato di abbinarli per giocare sulle forme e sui colori. Il Beautyfood è stato il concept più complicato che abbia mai trattato. A livello di luce è fatto al 99,9% in camera studiando in anticipo i particolari degli oggetti ripresi. Quello che vedi è stato collocato sul set con fili di acciaio, colla a caldo, plexiglass. I chicchi di pepe all’interno del porta ombretto li ho incollati uno a uno perché la confezione era sollevata e mi serviva che rimanessero fermi.
Nei rossetti ho cercato una carota della misura giusta che non fosse plasticosa. Sul mercato mi danno del matto. Ci sono scene ridicole, poi spiego che faccio il fotografo e mi aiutano con grande disponibilità.”
Quali sono le principali impostazioni?
“Per entrambe le serie ho utilizzato una H5D 50 con ottica HC MACRO 4/120mm, 1/250 di tempo. In Colors (frutta e verdura) il diaframma era a 22, mentre per Beautyfood ho usato fuochi multipli fra 8 e 16 dato che volevo il linguaggio estetico della fotografia di cosmetici quindi tutto nitido, tutto a fuoco. Ogni singolo soggetto ha richiesto un paio di giorni di lavoro.”
Che cosa ami esprimere con la fotografia?
“Di base sono molto tecnico e timido. La parte creativa è imbrigliata dal mio senso critico e quando esco con un progetto è perché sono davvero convinto che funzioni. Reputo che nella fotografia ci debba essere una fortissima componente di artigianalità vista come continuo esercizio nel fare. Una volta curavo la post-produzione, ma mi toglieva tempo prezioso ed ora la lascio ai miei collaboratori per dedicarmi a sperimentare con la luce testando strumenti appropriati a seconda dell’impiego.”
Quale macchina e tipo di luci preferisci?
“Ho sempre lavorato con Hasselblad già con il medio formato in pellicola. Escludendo una parentesi con un banco ottico sono tornato ai loro prodotti con il digitale. Attualmente ho la H6D-100c con sensore da 100 Megapixel e 15 stop di gamma dinamica. Come tipologia di luci ho Elinchrom e LED Lupo che hanno la caratteristica di essere dual color e mi consentono di passare gradualmente dai 3.200°K ai 5.600°K. Una luce neutra e supertarata spesso porta ad un effetto camera operatoria. E’ bello avere la possibilità di scaldare un po’ valutando ad occhio, al di là dei gradi Kelvin, il risultato finale. Ho formato il mio parco luci in 15 anni di attività e principalmente ricorro ai flash, ma da quando faccio video ho imparato a servirmi della luce continua. ”
Come ti sei adattato?
“Gestire l’aumento o la diminuzione della luce non è così immediato perché se si sposta la sorgente si ottiene un effetto totalmente diverso. Il problema è suddiviso, prima si decideva la posizione e dopo la potenza. Ora i LED dimmerabili hanno innovato le cose altrimenti l’alternativa erano i filtri ND.
Ultimamente adopero i LED a 5.600°K, ma mi sorprendo a mescolare le cromie usando i flash come luce fredda insieme alla luce continua calda. Il tungsteno ha una gamma di frequenze più completa, ma numerosi aspetti sfavorevoli: sono scomodi, si scaldano e consumano un botto di corrente che in esterno bisogna preoccuparsi di alimentare. I LED permettono di andare da un cliente senza informarsi dell’impianto, mentre si deve verificare la fattibilità quando si arriva con 6/7.000 watt.”
Cravero non ha avuto paura di mettersi in gioco in un concorso internazionale. Per partecipare al Premio Masters 2018 si possono presentare tre immagini che meglio rappresentino il proprio stile. Le categorie sono state portate ad undici con la nuova sezione Aerial, un omaggio alla storia del marchio impiegato anche in missioni spaziali fra cui il primo atterraggio sulla Luna. Gli altri generi sono: Architettura, Fine Art, Fashion/Beauty, Paesaggio, Ritratto, Prodotto, Project Under 21, Street Urban, Matrimonio, Wildlife.
Il materiale inviato sarà vagliato da una Giuria Interna che indicherà dieci finalisti per categoria prendendo in considerazione l’abilità tecnica, la creatività, la capacità compositiva, la forza concettuale ed il contributo all’arte fotografica. I nomi della prima cernita saranno poi esaminati dalla Giuria Masters costituita da 24 fra i più noti professionisti e dal voto del pubblico che sarà valutato come 25° giurato per designare un vincitore per ogni specializzazione.
Il premio, oltre alla soddisfazione dell’ambito titolo onorifico, include una fotocamera medio formato Hasselblad di ultima generazione e la pubblicazione del proprio lavoro nel libro celebrativo Hasselblad Masters del 2018.
RIPRODUZIONE RISERVATA – © SHOWTECHIES Simona Braga
Foto di: (c) 2016 GIORGIO CRAVERO (E’ severamente vietata la riproduzione delle immagini) – HASSELBLAD
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