
I ricercatori hanno dimostrato per la prima volta che, nei sistemi su scala nanometrica, è possibile generare entanglement tra fotoni sfruttando non le singole componenti del momento angolare (spin e orbitale), ma il momento angolare totale.
La fisica quantistica porta talvolta a previsioni controintuitive. È quanto accadde quando Albert Einstein insieme ai colleghi Boris Podolsky e Nathan Rosen, quest’ultimo successivamente fondatore della Facoltà di Fisica al Technion, identificarono un fenomeno secondo cui conoscere lo stato di una particella influenza immediatamente lo stato di un’altra, indipendentemente dalla distanza che le separa.
Il loro articolo del 1935 è noto come paradosso EPR (Einstein–Podolsky–Rosen).
L’idea sembrò assurda a Einstein che la definì “terrificante azione a distanza”. Tuttavia un importante contributo del Prof. Asher Peres del Technion, insieme ai colleghi Charles Bennett e Gilles Brassard, dimostrò che questa proprietà poteva essere usata per trasmettere informazioni in modo occulto, fenomeno noto come teletrasporto quantistico, alla base della comunicazione quantistica.
Questa correlazione fu poi denominata entanglement quantistico e, per la sua misurazione e per le sue implicazioni (tra cui la computazione e la comunicazione quantistica), il Premio Nobel per la Fisica del 2022 fu assegnato ai Professori Alain Aspect, Anton Zeilinger e John Clauser, i primi due insigniti in precedenza di un dottorato honoris causa dal Technion.
Finora l’entanglement è stato dimostrato per diverse particelle e per molte delle loro proprietà. Nel caso dei fotoni (le particelle di luce) l’entanglement può riguardare la direzione di propagazione, la frequenza (cioè il colore), oppure l’orientamento del campo elettrico. Può inoltre riferirsi a proprietà meno intuitive, come il momento angolare. Quest’ultimo si suddivide in:
– spin (momento angolare intrinseco) legato alla rotazione del campo elettrico del fotone,
– momento angolare orbitale connesso al moto rotazionale del fotone nello spazio.
L’analogia più utile è quella della Terra che ruota su se stessa (spin) e orbita attorno al Sole (momento angolare orbitale).
Nella maggior parte dei casi, questi due contributi sono trattati come quantità indipendenti, in particolare quando i fotoni si trovano in un fascio di luce molto più ampio della loro lunghezza d’onda. Se le dimensioni sono inferiori alla lunghezza d’onda (l’obiettivo della nanofotonica) emerge una nuova condizione, ossia che non è più possibile distinguere le due componenti rotazionali. In questo regime, il fotone è descritto unicamente attraverso una grandezza unificata: il momento angolare totale.
Due ragioni rendono vantaggiosa questa configurazione:
- Miniaturizzazione dei dispositivi ottici, analogamente a quanto avviene nei circuiti elettronici.
- Aumento dell’interazione tra fotoni e materia che consente l’emergere di fenomeni impossibili da ottenere alla scala macroscopica.
Uno studio rivoluzionario condotto dal Technion (Istituto israeliano di tecnologia) ha rivelato una forma di entanglement quantistico nel momento angolare totale dei fotoni confinati in strutture su scala nanometrica, larghe appena mille volte più piccoli di un capello umano, utilizzando esclusivamente il momento angolare totale, senza coinvolgere le consuete proprietà quantistiche come lo spin o la traiettoria.
I ricercatori hanno tracciato l’intero processo: dall’introduzione dei fotoni nel sistema nanometrico fino alla loro emissione dalla fase di misurazione, evidenziando come tale passaggio ampli lo spazio degli stati accessibili. Una serie di rilevamenti ha permesso di mappare questi stati, generare entanglement sfruttando la peculiarità propria della confinazione su scala nanometrica e verificarne la corrispondenza tra le coppie di fotoni, confermandone la natura entangled.
Si tratta della prima scoperta di un nuovo tipo di entanglement da oltre vent’anni che potrà portare in futuro allo sviluppo di strumenti innovativi per la progettazione di dispositivi fotonici per comunicazione e computazione quantistica, consentendone al contempo una marcata miniaturizzazione.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, è stato condotto dal dottorando Amit Kam e dal Dr. Shai Tsesses (attualmente ricercatore post-dottorato al MIT), appartenenti al gruppo di ricerca del Prof. Guy Bartal, in collaborazione con i gruppi del Professore Emerito Moti Segev e del Prof. Meir Orenstein.
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Immagine grafica: Shalom Buberman, Shultzo3d
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